LE “BASSE” VEDUTE
La Bassa Padovana, e in particolare quell’area geografica che si estende dai piedi dei
Colli Euganei verso sud fino al fiume Adige e da Monselice verso ovest fino al fiume
Fratta è una delle zone più affascinanti della regione Veneto, valorizzata da grandiose
città fortificate, ricche di storia, arte e mistero.
A ovest troviamo Montagnana con la sua cintura urbana fortificata dalla forma
rettangolare nella quale svetta l’imponente mastio, di quasi 40 metri di altezza,
chiamato Torre di Ezzelino.
Al centro troviamo Este, con il castello dei Carraresi e il Duomo Abbaziale di Santa
Tecla che conserva al suo interno la pala di Giovanni Battista Tiepolo e il gruppo
scultoreo “Trionfo dell’Eucarestia”, capolavoro barocco di Antonio Corradini.
Infine a est, troviamo Monselice con l’Antica rocca ed il Castello Cini composto da
due palazzi che custodiscono una collezione di armi medievali, mobili, suppellettili e
arazzi tra le più ricche d’Europa.
Insomma, questi tre centri storici, fra l’altro meta di grandi artisti e liberi pensatori,
rappresentano i luoghi più conosciuti di tutta quest’area.
Esiste, tuttavia, in questo stesso ambito geografico, un’altra realtà molto meno
conosciuta, a tratti quasi abbandonata e che normalmente nessuno fotografa.
É la Bassa Padovana Rurale, un’area prevalentemente pianeggiante attraversata da
numerosi corsi d’acqua, un tempo caratterizzata da cospicui paesaggi agricoli dove
borghi pittoreschi, abbazie, edicole religiose e storiche ville arricchivano questo
territorio incantato.
Oggi, purtroppo, questi paesaggi sono profondamente cambiati. Se il progresso
agricolo unito a quello industriale/urbano dei decenni scorsi, ha contribuito in
maniera decisiva allo sviluppo dell’economia locale, allo stesso tempo ha avuto un
forte impatto sulla conformazione del territorio contribuendo, in primo luogo, ad un
“inquinamento visivo”che fotograficamente è stato devastante!
Disboscamento, linee elettriche, antenne ripetitrici, pannelli fotovoltaici ed edifici
vari costituiscono, fotograficamente, degli elementi di disturbo che complicano non
poco la vita di noi fotografi, costantemente alla ricerca della giusta inquadratura e
sempre attenti alla composizione, condizioni queste, assolutamente necessarie per
ottenere delle buone fotografie paesaggistiche che rispettino i canoni minimi di
estetica e raffinatezza.
Per realizzare delle buone fotografie in questo contesto, è necessario ricercare il più
possibile l’estetica e il buon gusto fotografico direttamente in fase di scatto.
Quando si fotografa in bianco e nero, e per di più su pellicola, la postproduzione, e in
particolare la possibilità di “togliere” dalla scena alcuni elementi di disturbo, è
pressoché nulla.
È necessario, dunque, previsualizzare ogni scatto e prestare una grande attenzione
non solo alle inquadrature ma anche all’esposizione e a tutti i parametri di scatto, di
sviluppo e di stampa.
In questo scenario, scegliere i soggetti più adatti, le inquadrature più efficaci, la luce
giusta, diventa una sfida! Una sfida tosta che però, noi 3, abbiamo accettato di buon
grado, forti dell’entusiasmo che proviamo per la Fotografia Analogica.
Ma per realizzare delle buone fotografie l’entusiasmo da solo non basta, serve anche
la tecnica, e serve ancor più la “sensibilità”. Non tanto la sensibilità della pellicola
fotografica, ma piuttosto quella sensibilità affettiva e nostalgica che ci ha indotto a
riscoprire questo territorio. Il nostro territorio!
Questo lavoro, dunque, non è altro che un coraggioso viaggio fotografico nella
nostra terra natia. Qui, attraverso il mirino della fotocamera, abbiamo cercato di
raccontare alcune vedute di questo territorio di periferia “immaginandolo” con quel
fascino e splendore che aveva un tempo.
Le fotografie che vengono presentate sono in Bianco e Nero.
Sono solo in Bianco e Nero.
Scegliendo di scattare con macchine analogiche caricate con pellicola bianco e
nero si rinuncia di fatto al colore ma a vantaggio del linguaggio fotografico.
Togliere il colore non costituisce necessariamente una perdita di informazioni. Anzi,
tale scelta può rafforzare molto di più il senso e la comunicatività dell’immagine. In
alcuni generi fotografici, una foto a colori rischia addirittura di essere troppo
realistica, togliendo tutto lo spazio all’immaginazione.
Inoltre, come ama dire il grande fotografo Neil Leifer:
“La fotografia non mostra la realtà, mostra l’idea che se ne ha”.
Per questi motivi la prima parte del lavoro è intitolata “il Paesaggio Immaginato”.
Una raccolta di fotografie di paesaggi rurali in bianco e nero, alcuni ripresi con
fotocamere caricate con pellicola infrarosso, dove i soggetti e gli elementi della
scena, riprodotti in toni di grigio, inducono l’osservatore a “immaginare” la
campagna di un tempo, in origine semplice e fiabesca ma che ora sta sempre più
scomparendo.
Questo audace “viaggio”continua poi nelle campagne della Bassa, nella memoria di
quella che è stata, per centinaia di anni, l’attività agricola locale.
Nella seconda parte del lavoro, dal titolo “gli Agresti Resti”, cerchiamo di raccontare
quel che resta dei luoghi di vita agricola dei decenni passati, andando a riscoprire
vecchi fabbricati rurali, barchesse, stalle, fienili ma anche piccole costruzioni come
le edicole religiose, i pozzi, le aie, i pollai. Anche in questa seconda raccolta siamo
stati particolarmente attenti all’estetica e al buon gusto fotografico. Compito, questo,
che sul campo si è rilevato molto arduo, a volte reso impossibile dal degrado e
dall’abbandono a cui oggi, purtroppo, sono lasciati molti di questi luoghi.
La terza parte del viaggio, “i Ritrovati Ricordi”, è dedicata alla memoria. Questa
raccolta di fotografie in bianco nero è uno sguardo attuale, affettuoso e nostalgico su
questa terra e la sua gente. In questa raccolta, infatti, siamo andati alla ricerca di tutti
quegli aspetti di vita moderna che, in qualche modo, ricordano come si viveva una
volta. Volti, riti quotidiani, cibo e oggetti che richiamano quel passato. Quel
“vissuto” in questa terra, ma anche quello dei nostri avi, dove le tradizioni
diventavano riti e i lavori semplici diventavano arte.
Quel che resta oggi, insomma, della vita dura e semplice, modesta sì, ma non priva di
una nobile dignità, dove il trascorrere della vita era intriso di quella tenace identità
propria che oggi è diventata ricordo. E se per raccontare un ricordo servono delle
parole, per “immaginarlo” servono delle fotografie.
I Camera Oscurati
ERICO VARDANEGA
Nato a Possagno nel 1953, mi sono avvicinato alla fotografia nel 1975. Dopo alcuni anni di attività, ho sospeso questa passione per motivi professionali. Trascorsi oltre quarant’anni lontano dalla fotografia, il mio interesse è stato risvegliato dalla partecipazione casuale a una serata dedicata alla fotografia naturalistica. Colpito dalla qualità delle immagini presentate, ho deciso di riallacciare il mio percorso fotografico concentrandomi su questo genere. La transizione dalla fotografia analogica a quella digitale ha rappresentato una sfida significativa; tuttavia, grazie alla determinazione personale e al supporto di un amico esperto, ho saputo affrontare e superare le diverse difficoltà tecniche incontrate.
Prediligo la fotografia naturalistica poiché consente di operare in ambienti silenziosi, favorendo la concentrazione. Tuttavia, mi dedico con interesse e spirito di ricerca anche con la Multivisione e ad altri generi fotografici ogniqualvolta se ne presenti l’opportunità, nell’ottica di ampliare e perfezionare le mie competenze tecniche nel campo della fotografia. La fotografia mi ha permesso di riscoprire l’armonia con la natura, un valore spesso trascurato a causa della scarsa conoscenza e dell’attenzione insufficiente che le viene attribuita. Riconoscere questa importanza è fondamentale sia per il nostro presente che per il nostro futuro. Sono socio FIAF e dell’Associazione Culturale Ezzelino Fotoclub – BFI, con la quale condivido e valorizzo appieno le competenze e l’esperienza maturate nell’ambito fotografico.
LA PASTORIZIA DEL MONTE GRAPPA
La tradizione pastorale oggetto di questo progetto rappresenta una delle espressioni più antiche della storia umana. Le società delle civiltà originarie erano caratterizzate da un marcato orientamento alla pastorizia, considerata un elemento centrale del tessuto sociale ed economico. Con il progresso tecnologico, questa pratica ha subito una progressiva marginalizzazione, determinando una perdita di attrattività presso le nuove generazioni e relegando la figura del pastore a un ruolo periferico e spesso associato a condizioni lavorative impegnative.
Tuttavia, si registrano casi significativi di giovani famiglie che, dopo un percorso di formazione, scelgono consapevolmente di proseguire l’attività familiare, apportando innovazione pur mantenendo vivo il patrimonio culturale e professionale ereditato. Grazie al loro contributo è possibile garantire continuità e sviluppo all’antico mestiere, integrando valori tradizionali e approcci contemporanei.









